13 agosto 2025

Intervista con Maria Cristina Gionta

Erbalunga, 12 agosto 2025

«DIETRO IL SIPARIO SONO LIBERA DI PIANGERE E DI URLARE»

Per un’intervista sarà da usare la preposizione a o con? Questa domanda me la sono posta, per la prima volta in vita mia, sedendomi a tavolino a rileggere gli appunti presi circa un mese fa durante una piacevole chiacchierata con Maria Cristina Gionta, l’attrice che non t’aspetti, una ex ragazza dagli occhi magnetici che mantengono lo sguardo concentrato alla ricerca continua della linfa del sapere. In realtà tra le due preposizioni c’è poca differenza, questione di sfumature, ma la tendenza mira a sottintendere che dietro un’intervista a qualcuno ci sia un’istituzione (che sia una testata giornalistica o un ente privato o pubblico): ciò significa, senza scomodare regole ufficiali, che, usando il con, il rapporto tra intervistato e intervistatore si addolcisca e che i ruoli si sciolgano al dialogo sodale intorno alla questione che più ci sta a cuore: la scelta di un buon bicchiere di vino che accompagni il pasto, intorno al quale le esperienze professionali e i primi ricordi di palcoscenico di Maria Cristina facciano da miglior condimento.

Il nome della Gionta non è da guest star, le produzioni ancora non giocano al rialzo per averla in compagnia, eppure Maria Cristina merita un riflettore particolare. Nel 2023, per esempio, da tenace frequentatrice dei palcoscenici off, è riuscita a entrare nella terna delle Maschere per il teatro come migliore interprete di monologo per Bellezza Orsini. La costruzione di una strega, drammaturgia e regia di Silvio Giordani (prossima replica nell’area archeologica di Formia il 21 agosto). «È stata un’avventura fantastica: anche se non ho vinto il premio, hanno vinto le emozioni. Sapere che una mia performance è stata apprezzata dalla critica specializzata mi ha riempito di gioia e soprattutto di entusiasmo.» Non so se sia un caso, ma la mancata premiazione d’allora, oggi ha certamente contribuito ad aprirle le porte del Teatro di Roma: farà infatti parte del cast di Sabato, domenica e lunedì che Luca De Fusco allestirà per l’imminente stagione (dal 25 novembre al 4 gennaio all’Argentina). Nella commedia di Eduardo, che è un dramma della borghesia in stile cechoviano, Maria Cristina sarà Elena, la moglie del ragioniere Ianniello, la cui presenza in casa Priore e le attenzioni che lui riserverà a donna Rosa porteranno scompiglio e alimenteranno invidie e gelosie. «Non è un ruolo da protagonista, ma è un passo in avanti verso quel teatro che sognavo da bambina.»

04 agosto 2025

«Tacchi d’acciaio», romanzo di Marcantonio Lucidi

Erbalunga, 4 agosto 2025

«LA LIBERTÀ È UNA CHIAMATA»

Dopo circa tre mesi di estenuante clausura fisica nonché intellettiva, dovuta a una lunga, oppressiva e soprattutto calda, ristrutturazione casalinga, da sotto le macerie della fatica e della polvere, torna ad affacciarsi la copertina del libro di Marcantonio Lucidi che avevo messo da parte per riprenderlo a fine lavori e dargli giusto riconoscimento. Mi sentivo in debito con Lucidi. Un libro è un valore, quando è ben scritto, e maggior significato acquista quanti più particolari toccano, sfiorano, accarezzano la memoria e le esperienze di ciascun lettore. Tacchi d’acciaio, s’intitola: laddove i tacchi che «tacchettano senza tacchettio» sono, come si evince dalla foto di copertina, quelli di una donna vivace, emancipata al limite della spericolatezza, di carattere fermo, certamente dotata di grande femminilità e intelligenza, cosciente della propria vulcanica esuberanza d’artista ribelle, ma senza troppa ambizione e senza animosità femminista, argomento che più volte viene esaminato alla luce del sole o anche in controluce, ossia dalla parte dei maschi. Giovanna, Gio’ per gli amici, è la baronessa Bruno di Belmonte di nobile schiatta siciliana, e dovrebbe essere – il condizionale è più che giustificato – la protagonista del romanzo. Con lei, e con le sue abitudini un po’ stravaganti e un po’ altezzose e talvolta tenerissime, si alternano alcune figure maschili, tra cui quel Maurice, francese d’origine, che guarda caso porta lo stesso cognome dell’autore.

21 giugno 2025

Ancora sul Teatro della Pergola

Alessandro Giuli, ministro della Cultura

Roma, 21 giugno 2025

UNA POSTILLA NECESSARIA

All’indomani del polverone sollevato a Firenze, dopo lo choc per l’annunciato declassamento del Teatro della Pergola, la cui eco ieri è giunta fino in piazza della Signoria con poche spiegazioni da parte del Ministro della cultura e troppe proteste fumose dei soliti piagnoni, la timida voce del sottosegretario dello stesso dicastero, Gianfranco Mazzi, che ha la delega per lo Spettacolo dal vivo, annuncia: «Dopo aver appreso delle plateali dimissioni di tre componenti della commissione teatro del Ministero e che due di loro, nominati come figure tecniche dalla Conferenza unificata di Regioni, Province e Comuni, sono in realtà esponenti di partito, ho deciso di accelerare una decisione già da tempo condivisa con le associazioni più rappresentative del settore. Insedieremo entro pochi giorni un gruppo di lavoro per lo studio e l’individuazione di nuovi criteri e nuove modalità per l’assegnazione dei contributi allo spettacolo dal vivo che lavorerà per i prossimi due anni e dovrà realizzare un sistema più semplice e trasparente di quello attuale, da lasciare come eredità alla prossima legislatura. Sarà Giorgio Assumma a guidare il gruppo di studio che si avvarrà del contributo dei più autorevoli studiosi italiani della materia e dei migliori operatori del mondo dello spettacolo.»

Declassato il Teatro della Pergola

Roma, 20 giugno 2025

UN BUON MINISTRO AIUTA, NON CONDANNA

Nel 1965, durante il Concilio vaticano II, una commissione composta da cardinali, vescovi e teologi, decise di cancellare il nome di San Gennaro, protettore della città di Napoli, dal calendario ufficiale dei santi. I napoletani, pur se offesi, risposero con la solita ironia, scrivendo sui muri esterni dei palazzi divertenti ed affilate pasquinate (direbbero a Roma) contro la Chiesa e contro il Papa, esortando il loro beniamino dalla faccia ‘ngialluta (ossia, gialla perché tale il colore dei riflessi dorati che risplendono sul viso della statua che viene portata in processione) a non prendere troppo sul serio la decisione del Vaticano: San Genna’, futtatenne, fu il motto più popolare e affettuoso nei riguardi del martire a cui il clero voltò improvvisamente le spalle. Il declassamento del Santo, oltre all’offesa morale inferta ai seguaci, ebbe come unica ripercussione effettiva il fatto che la Chiesa romana non riconobbe più quale patrono metropolitano la figura di un idolo a santità ridotta, salvo poi relegarlo in extremis ufficialmente a simbolo di una fede circoscritta al luogo del culto. Santo sì, ma fino al Garigliano! Tuttavia, malgrado l’onta, San Gennaro, anche se non più ascritto al calendario protocollare di Gregorio, continuò puntuale a compiere il miracolo dello scioglimento del sangue, fino a quando nel 1980 Giovanni Paolo II lo riabilitò a santo di primo grado: addirittura, lo proclamò patrono ufficiale di Napoli (decisione senza precedenti), spodestando l’intoccabile Madonna Assunta. Terremoto in Paradiso! E per la prima volta, infatti, San Gennaro, sia per rispettare la classifica celeste, sia per ovvii diritti di sacra precedenza, sia per onorare con galanteria la Madre di nostro Signore, e probabilmente sentendosi anche umiliato dal potere ballerino dei discendenti di Pietro che potevano in terra decidere il bello e il cattivo tempo dell’empireo, a prescindere dalla volontà divina, rispose con severità rimanendo quell’anno ostentatamente rappreso nell’ampolla: segno premonitore di catastrofi imminenti. Era il mese di settembre: sessantaquattro giorni dopo l’Irpinia e la Campania furono devastate dal sisma. Un cataclisma – guarda caso – circoscritto al luogo del culto del santo, vescovo di Benevento. Da allora la Chiesa non osò mai più ostacolare credenze e tradizioni che accompagnano il mito di San Gennaro.

09 giugno 2025

La banalità del sistema teatrale

Roma, 9 maggio 2025

CARO BISICCHIA, TEMO CHE IL SUPERFLUO SIA DIVENTATO IL NOSTRO NECESSARIO

Tra le tante notifiche che il cellulare mi elenca ogni mattina, poco prima del caffè, la maggior parte delle quali assolutamente superflue, ne trovo una che desta immediata curiosità: mi suggerisce che il professor Andrea Bisicchia ha pubblicato un nuovo post. Leggo subito e, pur se a malincuore, mi compiaccio per aver trovato in un’autorevole firma un validissimo alleato. Come scrissi il 25 aprile scorso (qui l’articolo), anche Bisicchia ha sentito il bisogno di porre l’attenzione (qui l’articolo) sulla quantità di spettacoli proposti in queste ultime stagioni, un numero esorbitante che crea disorientamento a discapito di una qualità coscienziosa e necessaria. Anzi, scrive l’esimio professore, «oggi sui palcoscenici domina l’eccesso che, per forza di cose, produce esemplificazioni, superficialità e confusione». All’abbondanza dei titoli in cartellone, il professor Bisicchia conferisce una dote d’inutilità superflua, un disordine di stili e di intenzioni, a danno di un più succulento gusto del necessario. Wilde sosteneva che, avendo il superfluo, si sarebbe potuto fare a meno del necessario, ma il sommo irlandese pensava a come farsi beffa delle sciocche difficoltà di un mondo reale, non imputando alla finzione del palcoscenico che, invece, «ci permette di esplorare l’umanità», la responsabilità della nostra laboriosa e complicata sopravvivenza.

02 giugno 2025

«Sarabanda», di Ingmar Bergman

Roma, Teatro Argentina
1° giugno 2025

QUANDO L’AMORE NON RIESCE A INTACCARE IL MURO DELL’ODIO

Che cos’è l’amore? Che cos’è l’odio? Ingmar Bergman cerca di dare una risposta scrivendo i dieci dialoghi che compongono la sua ultima sceneggiatura (del 2003), Sarabanda, riprendendo, trent’anni dopo, il filo del discorso interrotto troppo bruscamente tra Marianne e Johan, protagonisti di «Scene da un matrimonio», film per la televisione del 1973 (in Italia trasmesso nel 1978). Il titolo dell’opera si riferisce al quarto movimento della 5ª «Suite per violoncello solo» di Bach. Il termine risale al XVI secolo quando in Spagna s’indicava una particolare danza di origine, pare, orientale che si ballava su un ritmo dapprima allegro e poi sempre più grave. Per estensione il vocabolo oggi indica un susseguirsi disordinato di accadimenti, di particolari scombinati, ma anche una cascata di cose che si accompagnano a un movimento assai chiassoso. Insomma, una gran confusione. Non è un caso che tra le ultime battute di Marianne a Johan, in «Scene da un matrimonio», c’è una domanda che dice: «Credi che viviamo in una totale confusione?». Una frase che diventa per Bergman il seme che dà alla luce Sarabanda, dove sono i sentimenti a creare quel movimento chiassoso che vibra disordinato nell’animo di certe persone legate a rapporti indissolubili.

29 maggio 2025

«Masaniello», di Elvio Porta e Armando Pugliese

Napoli, Cortile d’Onore di Palazzo Reale
27 maggio 2025

LA RIVOLTA DI TOMMASO ANIELLO A PALAZZO REALE. IMPRESA EROICA!

Dopo mezzo secolo, riecco il Masaniello di Armando Pugliese. A quasi un anno dalla scomparsa del regista napoletano, forse il più incompreso genio teatrale italiano del Novecento, Bruno Garofalo, che all’epoca curò la scenografia, rende omaggio all’amico con il quale collaborò per innumerevoli progetti, riallestendo lo spettacolo che lo rese celebre sin dal 1974, quando, con Elvio Porta, autore, e Silvia Polidori per i costumi (il tributo si estende anche a loro), diede vita alle imprevedibili gesta rivoltose del pescatore di piazza Mercato. Cinquantuno anni fa lo spettacolo debuttò a Napoli, proprio nello spiazzo antistante la basilica dedicata alla Madonna del Carmine, adiacente a quel monastero dove il 16 luglio 1647 Masaniello, sorpreso nel sonno, fu sparato da un colpo di archibugio, e la sua testa mozzata fu poi esposta nella piazza. Oggi la cornice è cambiata e alla vastità dello slargo abbascio ‘o Mercato s’è preferito il più raccolto Cortile d’Onore di Palazzo Reale, sgombro dagli echi entusiastici per i festeggiamenti del quarto tricolore azzurro che in questi giorni hanno riempito l’attiguo emiciclo del Plebiscito.

22 maggio 2025

«La gatta sul tetto che scotta», di Tennessee Williams

Roma, Teatro Vascello
21 maggio 2025

SORSI DI MORTE IN MILLE BOTTIGLIE DI WHISKY

Leonardo Lidi, in un’intervista pubblicata sul programma di sala, lancia una giusta provocazione: «Ho visto molte rappresentazioni della Gatta sul tetto che scotta, ma nessuna mi ha reso felice. Al contrario, mi hanno fatto arrabbiare … Adesso vendicherò io questo testo». Quindi – provocazione per provocazione – mi sento in diritto di poter affermare che la cosa migliore di questa edizione diretta dal regista arrabbiato è il programma di sala distribuito a pochi eletti. Interessantissimo. Un libricino da leggere attentamente per comprendere tutte le motivazioni che hanno spinto Lidi a mettere in scena l’opera di Tennessee Williams. Nelle sue parole c’è logica d’intenti, c’è ordine nei pensieri, e soprattutto si mette a fuoco la continuità artistica che ha portato il regista dello Stabile torinese a passare dalla trilogia sulla disgregazione della famiglia aristocratica fotografata da Cechov a quella tradizionale borghese rivisitata dallo scrittore americano.

16 maggio 2025

«Come nei giorni migliori», di Diego Pleuteri

Roma, Teatro India
15 maggio 2025

SANT’AGOSTINO: «AMA E FA CIÒ CHE VUOI»
MA IN TEATRO DIVERTITI

Evidentemente la liberazione dell’omosessualità dev’essere stata raggiunta, se ora c’è chi la racconta quasi come un tormentone frenetico e quotidiano, giocoso al limite del ridicolo, come le coppie etero che si amano, litigano, si lasciano e si riabbracciano nell’arco di poche ore. Evidentemente non siamo tutti così arretrati e omofobi, come ancora sostiene qualcuno, se Diego Pleuteri, giovanissimo autore, sente la necessità di dar vita a una crepitante scaramuccia, odi et amo, tra due sentimenti potenti e opposti che convivono con naturalezza nello stesso individuo: laddove l’odio, ovviamente, è di natura amorosa di catulliana memoria. Un odio tenerissimo che trapela da uno dei due personaggi senza nome di Come nei giorni migliori, testo che mette a confronto due visioni dell’amore: c’è chi cerca l’unione e chi tenta di difendere la propria libertà minacciata dal sentimento esploso all’improvviso per l’amico appena conosciuto.

15 maggio 2025

«Felicissima jurnata», di Emanuele D’Errico

Roma, Teatro Vascello
14 maggio 2025

LINA COME WINNIE: INTERRATA FIN SOPRA ALLA VITA

«Felicissima sera a tutte ‘sti signure ‘ncravattate…», cantava Mario Merola. Il titolo dell’opera di Emanuele D’Errico sembra strizzar l’occhio ai primi versi del famoso brano che Libero Bovio dedicò allo zappatore, invece, le origini di Felicissima jurnata appartengono a tutt’altro pianeta: è infatti la traduzione in napoletano di Giorni felici di Beckett, dramma in cui, «interrata fin sopra alla vita, esattamente al centro del monticello, c’è Winnie», si legge nella didascalia del premio Nobel. «Dietro di lei, alla sua destra, ma nascosto dal monticello, Willie dorme sdraiato per terra», è scritto ancora tra le indicazioni d’apertura che introducono i due personaggi che lo scrittore irlandese crea per fotografare la sua negativa visione dell’esistenza. Tuttavia, Winnie e Willie sono anche creature, certamente ridicole, che tentano di sopravvivere alla noia e di proseguire col sorriso il loro cammino insieme, eppure, per lei, è impossibile muoversi, bloccata com’è «fin sopra alla vita».

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